giovedì 20 settembre 2012

Nuovi modelli: come produrre in una società che cambia

La ripresa? Non ci sarà. O per lo meno non secondo le vecchie regole. La ragione è che stanno rapidamente cambiando i modelli di sviluppo. E con questi gli stili di vita e di consumo e gli stessi sistemi di misurazione del benessere.
Tra qualche anno, dunque, metteremo il Pil in soffitta? C’è chi dice di sì. Verosimilmente quello del valore dalla produzione non sarà più l’unica variabile utilizzata per quantificare la crescita e tanto meno il “benessere” di un paese. Sarà lo stesso concetto di crescita a mutare. E non sarà soprattutto necessario continuare a stimolare il sistema economico per tentare di creare altra ricchezza. Primo perché le risorse finanziarie sono sempre più scarse e gli stati sempre più indebitati. Secondo perché il vecchio modello di sviluppo, la cui sostenibilità è stata messa seriamente in discussione, ha lasciato un vuoto dietro di sé con la Grande crisi. Un vuoto colmabile solo con un grosso stravolgimento delle regole di funzionamento dei sistemi economici e del lavoro. Cambiamenti che ruoteranno inevitabilmente attorno agli asset tecnologici.
Siamo allora alle soglie di una nuova era? Sicuramente si profila una società diversa rispetto a quella degli ultimi 30-40 anni. In cui il consumo, o meglio l’iperconsumo, cederà il passo ad altri valori, soprattutto di matrice ambientale, territoriale e socio-culturale con tutti i loro risvolti “economici”. Si assisterà probabilmente a un processo di deurbanizzazione, per lo meno per quanto attiene ai grandi centri urbani, e a una conseguente minore dipendenza dai mezzi di trasporto tradizionali (auto e moto). Il telelavoro affrancherà gli individui dai vincoli spaziali e temporali, riavvicinandoli ai propri nuclei, dirottandoli verso i centri di minori dimensioni e nelle aree rurali e liberando in questo modo risorse, lasciando più spazio al tempo libero, alla famiglia, alla cultura.
Prevedere quali saranno i driver del cambiamento non è cosa facile. Ma è su questo che si dovranno impostare i nuovi modelli di sviluppo e soprattutto i nuovi piani industriali. E’ probabile che il modello italiano basato sulle Pmi e sui distretti/cluster e reti di impresa, avrà modo, grazie a una maggiore flessibilità, di adattarsi più rapidamente ai cambianti e potrà senz’altro cogliere le nuove opportunità. Va da sé che l’Italia, che più di altri paesi può puntare su un’offerta territoriale molto qualificata, e quindi su turismo, ambiente, cultura, enogastronomia, sistema moda allargato, avrà buon gioco se saprà cogliere in tempo i cambiamenti in atto.
Di contro, ostinarsi sui vecchi modelli potrebbe trascinare il Paese verso un ulteriore tracollo economico e finanziario. Un solo esempio: non produrre più auto o limitarne fortemente la produzione potrebbe risultare un errore. Viceversa passare a un auto elettrica anche biposto e allargare la fascia di utenza ai più giovani (per es. agli over 14) potrebbe essere la risposta vincente, tecnologica e soprattutto innovativa.
Sarebbe ora di cominciare a riflettere su questi temi. Grandi temi che servono però a ragionare più in piccolo. Ma soprattutto a sforzarsi di “intercettare la nuova era”.


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