Arretrano
tutte le componenti: i beni di consumo, durevoli e non, i beni strumentali, gli
intermedi e il ramo energia.
L’Istituto
nazionale di statistica ci informa anche che la produzione industriale, sempre
nella prima metà di quest’anno, ha perso il 10,7% nel settore tessile,
abbigliamento e calzature.
Se andiamo a
scandagliare notiamo che l’industria calzaturiera, in particolare, ha contratto
l’attività produttiva addirittura del 17%.
I dati
odierni sui conti economici nazionali hanno anche decretato il quarto trimestre
negativo del Pil. Tra aprile e giugno 2012 l’economia italiana ha lasciato sul
terreno un altro 0,7% a distanza di un trimestre, arretrando in un anno del 2,5%.
La
variazione acquisita per il 2012 è del meno 1,9%, ma è più probabile che a
tutto dicembre prossimo il Pil si alleggerisca di oltre 2 punti percentuali.
In questo
scenario, il rilancio dei consumi interni, basato necessariamente su nuovi
modelli (più sostenibili, ma anche meno compulsivi da un lato e più qualificati
dall’altro), potrebbe gettare le basi per una graduale ripresa dell’attività
produttiva.
Nell’immediato
sarebbe però forse più utile agire sulla leva dell’export, che sembra essersi improvvisamente inceppata. E’
noto, d’altro canto, che nei settori prociclici le fasi economiche negative si
riflettono in maniera più diretta sui livelli produttivi.
Una ripresina
d’autunno potrebbe effettivamente arrivare solo dalla componente estera della
domanda. E sarebbe già qualcosa. A settembre un segnale forte potrebbe giungere
dagli Usa, con una maxi iniezione di liquidità da parte della Federal Reserve
(sarebbe la terza dall’inizio della grande crisi). Un quantitative easing versione
3 (acquisto di titoli di stato con emissione di moneta) forse da 600 miliardi
di dollari. In passato è servito a rianimare l’economia a stelle e strisce. Ma
anche a drogare i mercati finanziari. Questa volta chissà.
Nessun commento:
Posta un commento